Repubblica Viaggi - La Calabria dei monasteri. Una sorpresa 4 stagioni l'anno
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Sorprendenti gioielli patrimonio dell’umanità intera si nascondono tra i monti della Sila. Partiamo dunque dai giganti di Fallistro per arrivare nel cuore di luoghi piccoli e misteriosi ma che proteggono tesori immensi.
Prima tappa nel bianco delle nevi, a Lorica, sede del parco nazionale della Sila: oltre 73 mila ettari distesi su tre province: Cosenza, Catanzaro e Crotone. Addentriamoci con la motoslitta tra le silenziose distese innevate, alla ricerca del respiro della natura, del silenzio, e del contatto con la parte più arcaica e profonda della Calabria. Un modo di viaggiare slow, molto apprezzato dai turisti che arrivano qui.
Attrattiva sempre più gettonata è il trenino nato ad agosto, per scoprire la Silva Brutia, cioè la foresta abitata dai Bruzi, su carrozze d’epoca trainate da una locomotiva a vapore FCL 353 del 1926 lungo la tratta Moccone - Camigliatello. Andando verso la Sila greca, tra mulini ad acqua ed edicole votive, si apre nella nebbia, quasi come un sogno, un misterioso complesso monastico fondato, sullo scorcio dell’XI secolo, da San Bartolomeo di Sìmeri (1050-1130) con il sostegno dell’ammiraglio normanno Cristòdulo. Siamo nella contrada montana di Ronconiate, a quindici chilometri da Rossano, la città della liquirizia. E’ il monastero del Patire o Patirìon, cioè Monastero del Padre, in origine era dedicato a Santa Maria Nuova Odigìtria (per il quadro offerto in dono al fondatore dagli Imperatori d’Oriente).
Quando arriviamo, il prato davanti al monastero è stato messo sottosopra dai cinghiali. Mentre costruivano questa abbazia, i monaci basiliani piantarono gli alberi che oggi fanno parte del monumentale castagneto (oasi naturalistica del Wwf: 102 piante con una circonferenza di 13 metri alla base) che nei suoi 20 metri di altezza fa da rifugio per il gatto selvatico, la martora, la volpe, la faina, la donnola, la puzzola. Suggestivo, di notte, mentre volano i rapaci e le montagne sue custodi sembrano restituirci nel silenzio le voci dei monaci: secolari preghiere e grande sapienza condensata nelle centinaia di codici nati nel monastero ed oggi custoditi nella Biblioteca Vaticana, nell’Abbazia di Grottaferrata ed in altre biblioteche sparse in il mondo. Meravigliosi sono i mosaici del pavimento, realizzati nel XII secolo grazie all’abate Biagio, con tessere marmoree di rocce locali e ciottoli di fiume.
Come tanti monasteri italo greci, il XV secolo ne segnò la decadenza, fino alla soppressione ad opera dei francesi, nel 1809. All’esterno, tre imponenti absidi rivolte ad Oriente, vero una larga spianata, ci danno ancora oggi il senso di quella che resta una delle più belle architetture dell’arte bizantina. Ogni abside ha cinque archeggiature, ognuna delle quali ha una stella diversamente realizzata. Altre arcate, accanto alla chiesa, portano al chiostro ed ai ruderi dell’antico monastero. Delle antiche tre porte maggiori, ne resta solo una mentre le due porte laterali riportano forme arabe.
Riprendiamo il viaggio ed arriviamo nella Sila cosentina, a Rossano, il paese che custodisce uno dei libri illustrati più antichi del mondo: il Codex Purpureus, un manoscritto onciale greco del VI secolo, conservato nel Museo diocesano. Il mistero circonda la nascita del Codice: non ci sono elementi per poter stabilire con sicurezza la data, il luogo in cui fu realizzato e come arrivò a Rossano. La maggior parte degli studiosi, basandosi sullo stile del manoscritto, ipotizzano che sia nato in Siria, forse ad Antiochia, e che sia arrivato a Rossano grazie ai monaci greco-orientali emigrati nel VII, a causa del primo iconoclasmo. Esiste anche una seconda ipotesi: potrebbe essere stato un nobile aristocratico della corte di Bisanzio a portarlo a Rossano. Il restauro durato quattro anni ha dimostrato come il Codex, con i suoi quindici secoli di vita, sia uno dei più antichi manoscritti miniati del Nuovo Testamento conservatisi fino ad oggi.
Più di due anni di indagini e di analisi nei laboratori romani ne hanno confermato il valore. Impossibile da quantificare tanto che l’assicurazione per portarlo da Roma a Rossano valutò, solo per lo spostamento, un valore simbolico di ottanta milioni di euro. Al mondo esistono quattro Codici ed è impressionante come un piccolo centro come Rossano possa competere con le città europee che conservano gli altri tre. In origine era composto da 400 fogli di pergamena lavorata e conteneva tutti e quattro i vangeli canonici. Tra le quindici preziosissime miniature, importantissimo è il ritratto di Marco, l'unica figura di evangelista rimasta in un codice greco dei Vangeli, anteriore al X secolo. Seduto, con un largo rotolo aperto sulle ginocchia (il suo Vangelo), ha davanti a sé una figura femminile avvolta in una veste azzurra, La Sapienza, che gli suggerisce cosa scrivere.
Arriviamo ora San Giovanni in Fiore, il più antico centro abitato della Sila. Immersa nella nebbia, l’abbazia di San Gioacchino da Fiore appare misteriosa e austera. Qui visse il monaco cistercense fondatore di una nuova congregazione, l’uomo che ispirò Dante per la Divina Commedia, collocato nel XII Canto del Paradiso (“E lucemi dallato il calavrese abate Gioacchino di spirito profetico di re pontefici”) e poi diventato santo. In questo delizioso paese silano, Gioacchino visse e fondò la dottrina che diede vita ad un vasto movimento, il gioachimismo, che ebbe seguito soprattutto fra i francescani spirituali. Non solo la Divina Commedia è ispirata ed animata dalla tensione innovatrice e profetica dell'Abate di Fiore, di cui Dante riprende e rilancia figure e simboli, ma addirittura la disposizione iconografica degli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina si rifà alle figurazioni simboliche trinitarie di Gioacchino. E’stato infatti dimostrato che Michelangelo ebbe come consulenti teologici, due allievi di Gioacchino, l’agostiniano Egidio da Viterbo ed il teologo francescano Pietro Galatino. A San Giovanni in Fiore, la sapienza di Gioacchino pulsa nel Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, un ente riconosciuto dal MIBACT che sta spingendo studi nelle università di Oxford, Londra, Berlino, Costanza ed anche negli Stati Uniti in cui opera un folto gruppo di accademici dediti a Gioacchino da Fiore, ed al suo profetismo. Anche in Italia, in Francia, in Spagna, in Portogallo ed in America Latina, soprattutto nel Messico, è stata registrata una notevole fioritura di studi e di pubblicazioni su Gioacchino. E’davvero incredibile come tutto sia partito da questo paese incastonato tra le montagne della Sila.
Il nostro viaggio si conclude a Taverna, altro paese silano, patria di Mattia Preti. Nella chiesa – galleria troviamo le opere del grande pittore nato qui nel 1613 e fatto cavaliere da papa Urbano VIII. Influenzato dalle tecniche di Caravaggio, Mattia Preti visse 25 anni nella capitale, insieme al fratello Gregorio, viaggiando molto anche all’estero ed entrando in contatto con i pittori emiliani della generazione precedente, come Guercino e Giovanni Lanfranco. A Napoli, sotto l’influsso di Luca Giordano, contribuì a sviluppare la scuola pittorica napoletana affrescando, tra il 1657 e il 1659, le porte della città durante la peste e lasciando preziose opere conservate al Palazzo Reale e in alcune chiese napoletane. Persino a Malta realizzò centinaia di opere, tra tele ed affreschi. Dal 1672 riuscì a riportare la sua arte nella sua città natale, Taverna. Ancora molto c’è da scoprire tra i paesini della Sila. Al prossimo viaggio.